I maccheroni sono per tutti sinonimo di pasta. Nel mondo sono il simbolo dell'Italia. Oggi si intende per maccheroni un formato di pasta corta. In molte regioni con  maccheroni si indica un tipo di pasta fresca fatto a mano.

 



 

 

 


 IL MACCHERONE  TRA  LINGUA  E  PALATO

Pochi cibi sono così universalmente ben accetti come i maccheroni. E di pochissimi l’’etimologia è altrettanto controversa. C’è chi sostiene che il termine “maccherone” derivi dal latino tardo “maccare”, che significa schiacciare. Altri privilegiano la radice “Maccus”, uno dei personaggi delle Atellane. Un Pulcinella ante-litteram, che come lui non sognava altro che il cibo, e per mangiare era pronto a tutto. Dal momento che un tipo di pasta affine all’attuale sfoglia all’uovo era conosciuta nella Grecia del mille a.C., non si può escludere  che il greco, così presente in tante delle nostre parole, abbia messo bocca anche qui. “Maccherone” potrebbe derivare da “macron”, grosso, o dal greco basso “makaria”, un piatto costituito da un impasto di farina d’orzo e brodo. Se non da “mageiros”, l’autore per il prodotto: il mageiros era infatti il cuoco impastatore. Il filologo quattrocentesco Agnolo Morosini (chissà se da piccolo lo chiamavano Agnolotto…), oltre alla già citata radice makaria (greco basso) fa riferimento  a “makar” (greco classico, questa volta), che vuol dire “beato, felice”. Chiunque abbia assaggiato i maccheroni (basterebbe dire chiunque) farà certamente il tifo per  quest’ultima etimologia. La parola  “maccheroni” compare in un’opera del poeta tedesco Walter Von der Vogeiweider (1165-1230), che racconta quanto i siciliani amassero “i maccheroni dal sugo dolce.” Più tardi, nel 1348, la userà nientemeno che Giovanni Boccaccio, nel descrivere le meraviglie gastronomiche del leggendario paese di Bengodi.     Molto più tardi, nel 1620, Gian Alesio Abbattutis (pseudonimo anagrammatico del napoletano  Giambattista Basile), nel suo “Le Muse napolitane”, afferma che “Tre son le cose che la casa strudeno [distruggono, ndr]: zeppole, pane caudo e maccarune”. In seguito, nel celebre “Lo cunto de li cunti, o Lo trattenimento delli piccirilli”, il Basile scrive, nella favola di Cenerentola: ….”Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sopressate e le polpette? Addò li maccarune e li graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto armato….”Il termine  “maccheroni”, oltre a designare un cibo paradisiaco, viene anche usato per dileggiare chi ne consuma in grande quantità non per la sua bontà, quanto per il suo basso costo. Fin dal primo Medioevo i siciliani furono  chiamati “mangiamaccarruna”;i napoletani li seguirono qualche secolo dopo, perché solo nel seicento  sostituirono con la pasta (un alimento povero) un altro cibo che era stato alla base della loro dieta: il cavolo. Alimento anch’esso poco costoso, ma dal punto di vista dietetico ancor più povero. Fino al seicento, infatti, i napoletani erano chiamati spregiativamente “mangiafoglia”. Quando ebbero la possibilità di procurarsi la pasta, i napoletani mangiarono la foglia: e non la lasciarono più (la pasta, e non la foglia, che invece abbandonarono). Diventarono così dei “mangiamaccheroni”: e con loro enorme soddisfazione, lo sono ancora. Furono loro, i napoletani, a mettere ordine nella confusione linguistica che aveva regnato fino ad allora: per maccheroni cominciarono a designare soltanto la pasta lunga trafilata, di cui erano nel frattempo diventati dei gran consumatori.In effetti, i primi fast-food sono nati a Napoli: erano nient’altro che grandi pentoloni fumanti, pieni di maccheroni in cottura, che venivano serviti al banco. O meglio, alla bancarella: perché tutto questo accadeva non all’interno di un locale, ma “in mezzo alla strada”, come si dice  Napoli. I maccheroni si  mangiavano così. Senz’altre posate se non le mani. E senz’altro condimento se non un po’ di formaggio grattugiato, un pizzico di pepe, e l’enorme, atavica fame del popolo partenopeo. Ancora nel napoletano attuale, la parola “maccarone” viene usata per indicare (e per sfottere) una persona imbranata, priva di quella sveltezza che a Napoli è una specie di marchio di fabbrica. Ma non è precisamente un insulto: ogni napoletano sa bene che, con appena un po’ di condimento, il “maccarone” può diventare un piatto prelibato. Un po’ come accade per il broccolo (la cima di rapa): basta un po’ d’olio, e qualche piccolo trucco nella cottura, e “ ‘o vruoccolo”, che sembrava una testa di rapa, diventa, come per magia, Sua Maestà il Friariello.  Da segnalare, in ultimo, che la pasta è stata per lungo tempo identificata col termine “maccheroni”. La parola “vermicelli”, che designava il rotolo di pasta fatta a mano, e ridotta (con le mani) a dimensioni di “piccoli vermi”, lunghi un dito, è certamente presente  nel 1571, anno in cui a  Napoli nasce la Corporazione dei Vermicellari. Quanto al termine “spaghetti”,   compare – sembra per la prima volta – nel Dizionario della Lingua Italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini, che alla voce “spago” recita anche “minestra di spaghetti".


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

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